Attesissima anche perché Muti, eccetto le proposte al Ravenna Festival, non dirige spettacoli lirici in Italia dopo l’addio all’Opera Roma nel 2014. E perché, nonostante i tanti concerti con grandi orchestre ospiti o con l’orchestra di casa, il maestro finora ha diretto a Napoli un solo titolo lirico, un tormentato «Macbeth» 34 anni fa. «Vengo a Napoli pieno di positività, saranno giorni bellissimi anche grazie a Mozart, uno degli autori che ho più diretto e ho amato di più», dice Muti di ritorno dal Giappone dove ha ritirato il Praemium Imperiale, una sorta di Nobel della cultura, e incontrato l’imperatore Akihito.
Maestro Muti, il suo rapporto con il Giappone è sempre più intenso, c’è un motivo?
«Il problema è che noi italiani ci culliamo sul niente, in Oriente fanno. Ovunque in Cina e Giappone nascono nuove sale da concerto, la cultura musicale è sempre più valorizzata. A Tokyo replicherò la mia Italian Opera Academy, un progetto nato quattro anni fa a Ravenna per svelare i segreti dell’opera a giovani direttori provenienti da tutto il mondo».
Pochi gli italiani?
«Inutile girarci intorno… Io da anni grido nel deserto, l’Italia è il Paese che ha dato di più alla storia della musica ma sull’argomento c’è troppa indolenza. I cinesi cercano disperatamente di trovare il segreto del suono degli Stradivari, da noi basterebbe guardare alla Napoli musicale del Settecento per riempirsi gli occhi di meraviglia, il Sud non è solo una palla al piede del Paese».
Lei quando è in giro per il mondo sbandiera con orgoglio i suoi natali partenopei.
«E non potrei fare altrimenti. Mia madre raccontava fiera i viaggi in treno da Molfetta a Napoli per dare alla luce me e i miei fratelli in casa della nonna, in via Cavallerizza a Chiaia, numero.